Associazione Wagneriana

Verdi, Wagner e il Lohengrin a Bologna nel 1871 (di Ildebrando Ferrario)

(dalla conferenza tenuta il 26 novembre 2012 al ridotto dei palchi della Scala di Milano, in occasione della “prima” scaligera del Lohengrin)

Nel novembre 1871 l’editore Francesco Lucca, e sua moglie Giovannina, riuscirono finalmente a far approdare per la prima volta in Italia un’opera di Richard Wagner, Lohengrin, che fu rappresentata al Teatro Comunale di Bologna, con grande successo. E qui, due osservazioni. La prima è questa: la scelta di Bologna fu particolarmente felice, dato il primato della vita musicale di quella città nell’Ottocento, in Alta Italia.

Seconda osservazione: questo primo ingresso in Italia della musica di Wagner fu molto tardivo, se pensiamo che a tutto il ‘71 (a parte le prime due opere giovanili, da lui poi nettamente sconfessate), Richard aveva già composto oltre a Rienzi e a LohengrinL’Olandese volanteTannhäuserTristanoMaestri CantoriOro del RenoValchiria Sigfrido.[1]

I Lucca avevano raggiunto il loro obiettivo dopo un paziente lavoro preliminare: si erano messi in contatto con Wagner (tramite colui che doveva dirigere l’orchestra, cioè Angelo Mariani) e anche  col traduttore in italiano del libretto (che era il baritono palermitano Salvatore Marchesi, musicista, traduttore, librettista, in quel tempo residente a Vienna). Si erano poi dati da fare, i due coniugi (ma soprattutto Giovannina), con la Giunta Municipale di Bologna, e con la direzione del Teatro e i relativi scenografi, costumisti e direttore tecnico: con questi ultimi, e con il sindaco di Bologna, erano andati in settembre a Monaco, ad assistere a una recita dell’opera, per averne delle idee circa l’allestimento.[2]

La première ebbe luogo il 1° novembre, fra l’esultanza dei giovani “scapigliati” italiani (fra i quali Arrigo Boito e Franco Faccio), e fra il disappunto di Giulio Ricordi (per ovvii motivi concorrenziali fra editori), e di Verdi (per altri motivi).

Alla terza recita (domenica 19 novembre), assistette Giuseppe Verdi, dal fondo di un palco centrale di secondo ordine, desideroso di non essere visto dal pubblico. Ma quel fondo era visibile sia dal palcoscenico, sia dal palco della Direzione, nel quale era presente Luigi Monti, agente di Ricordi a Bologna; questi sapeva già della presenza di Verdi, avendolo accolto alla stazione, al suo arrivo in treno. Fu il Monti ad additare, dopo il secondo atto, il Maestro, e a gridare “Viva Verdi!”, suscitando un’ovazione da parte del pubblico; ovazione alla quale Verdi non ritenne di rispondere; non si affacciò neppure.[3]

Aveva portato con sé uno spartito dell’opera (per pianoforte e canto) sul quale segnò, con una matita, durante la recita, 114 annotazioni, molte delle quali esprimevano giudizi negativi sulla conduzione dell’orchestra, dei cori e dei solisti da parte del Mariani. Per quanto riguarda la musica, a una quarantina di giudizi negativi si associarono circa 19 giudizi positivi.[4]

Ritengo utile inquadrare l’ ”episodio Lohengrin” nell’ambito della storia dei rapporti tra Verdi e Wagner. Rapporti che, come è noto, andarono in senso unico: molta attenzione di Verdi per Wagner e la sua musica, solo qualche espressione astiosa di Wagner (e di Cosima) verso Verdi.

Comunque, ricordo ciò che scrisse nel 1999 Oswald Georg Bauer, emerito musicologo tedesco, già collaboratore di Wolfgang Wagner a Bayreuth. Scrisse, riferendosi ai due grandi: “Due compositori coetanei; che fra le non molte particolarità in comune, ebbero soprattutto quella di aver trasformato il teatro musicale dei loro rispettivi Paesi, riuscendo a liberarli dalle convenzioni del tempo, e a dare inizio a nuovi contenuti, e a nuove dimensioni dell’espressione, dell’umanità, della spiritualità”.[5]   

Si è dissertato per anni sulle motivazioni che hanno indotto Verdi ad assistere al Lohengrin bolognese. E si è messo soprattutto l’accento sui suoi giudizi negativi, sia sulla musica, – ritenendoli dettati da una sorta di gelosia nei riguardi di Wagner-, sia sull’esecuzione, ritenendoli dettati da rancore verso il Mariani. In effetti, l’amicizia tra Verdi e Mariani si era interrotta per numerosi motivi, fra i più recenti dei quali la nota vicenda di entrambi con il soprano tedesco Teresa Stolz, e l’aver rifiutato, il Mariani, all’ultimo momento, di assumere la direzione della première di Aida al Cairo, dove sarebbe poi andata in scena (direttore il Bottesini), meno di un mese dopo quella terza recita del Lohengrin a Bologna. A proposito dei cedimenti dell’esecuzione, il Mariani cercò poi di giustificarli col fatto che gli orchestrali e il coro, scorto Verdi in fondo al suo palco già prima dell’inizio della recita, si erano messi in grande agitazione.   Da notare anche il rimprovero a Mariani dei tagli che operò sulla partitura, rilevati da Verdi mentre leggeva lo spartito.[6]

Trovo invece non plausibili le interpretazioni secondo le quali era intenzione pregiudiziale di Verdi esercitare una critica negativa sulla musica. E questo sia per la sua onestà intellettuale, sia per la presenza dei giudizi positivi, e non solo negativi, da lui espressi su vari brani (indipendentemente poi dal fatto che i giudizi negativi fossero tutti azzeccati o meno).

Mi sembra particolarmente eccessivo il parere di Ute Jung-Keiser (ordinaria di Pedagogia musicale in sedi universitarie tedesche): in uno scritto del 1974, fece quest’asserzione: “. . .L’avversione di Verdi per il Lohengrin non aveva alcuna motivazione reale, ma [….] nasceva da invidia, e spirito di concorrenza malamente inteso”.[7]

E se proprio si vuole insistere su quel tanto di acredine di Verdi verso Wagner, in parte essa era indiretta: nel senso che in quegli anni Verdi era sotto stress, incollerito con quei critici i quali interpretavano i nuovi caratteri che la sua produzione aveva preso, come frutto di una pedissequa sottomissione al verbo wagneriano.[8] Su questo abbaglio hanno scritto numerosi musicologi, a partire da Eduard Hanslick,[9]  che, parlando dell’Otello a fine anni ’80 “era stato reciso nel riconoscere la perfetta indipendenza di Verdi da Wagner”, fino ai giorni nostri: e qui mi riferisco soprattutto a Wolfgang Witzenmann, (compositore, e storico della musica tedesco), il quale in un saggio ha dimostrato, partiture alla mano, che “fra la strumentazione e l’orchestrazione di Verdi e quelle di Wagner non vi è alcun punto di contatto, se si eccettuino alcuni aspetti generici…”[10]

Non si può disconoscere l’ansia di Verdi, per l’ingresso della musica di Wagner in Italia. Ma credo non debba essere ingigantita: il Maestro si era ormai affermato in ambito italiano ed europeo, avendo conquistato, con le sue ventisei opere fino ad allora composte, i più prestigiosi teatri, da Milano a Londra, da Parigi a Roma, da San Pietroburgo a Madrid; non aveva problemi economici; era follemente amato dagli Italiani per l’afflato risorgimentale in certe sue opere. E dal 1861 era deputato nel primo Parlamento unitario d’Italia. Come poteva dunque temere più di tanto la concorrenza del suo antagonista di oltr’Alpe? Ma è anche vero che Wagner, da quando, nel ’64, era entrato nelle grazie di Ludwig II di Baviera, aveva risolto tutti i suoi problemi, aveva potuto mettere in scena le opere che, fino allora composte, non erano ancora state rappresentate, e aveva raggiunto grande fama.

Potrebbe essere che Verdi fosse entrato in allarme, aspettandosi una improvvisa calata in blocco, in Italia, della notevole produzione operistica wagneriana fino al ’71, alla quale ho accennato all’inzio di questa mia lettura.  Ma se tale preoccupazione vi fu, non aveva motivo. Infatti, l’ingresso in Italia di tutte le opere di Wagner, dopo Lohengrin, si stemperò nel corso di parecchi anni, dal ’72 sino all’ ’88, e oltre. Prima della data della morte di Wagner, erano stati messi in scena in Italia (a partire dal ’72) solo Tannhäuser, Rienzi e Olandese volante. Ma non si può parlare di polemica personale fra i due grandi: Verdi aveva le sue idee, in campo estetico e drammaturgico, Wagner le sue. Vera polemica fu, in Italia, solo quella, fomentata anche dalla stampa, tra i seguaci dell’uno e i seguaci dell’altro.[11] Oltretutto, l’atteggiamento di Verdi nei confronti di Wagner e della sua musica stava via via migliorando col tempo.

In controtendenza, una lettera che il Maestro scrisse nel ’65 all’amico Opprandino Arrivabene, noto critico letterario, dopo un concerto da lui ascoltato a Parigi: lettera nella quale vi era questa frase: “Ho sentito anche la sinfonia del Tannhäuser di Wagner. È matto !!!”.[12]  Beh, un epiteto del genere su questa ouverture mi sarebbe stato più comprensibile se Verdi l’avesse pronunciato una ventina di anni prima, quando Wagner faceva conoscere il Tannhäuser al pubblico di Dresda, mentre lui stava componendo “Attila”. Avrebbe potuto non comprendere, a quel tempo, quella emozionante “valanga di suoni” del “baccanale” (con la sua sensualità disinibita, dionisiaca), baccanale presente nell’ouverture a partire dall’esecuzione parigina del ‘61. Ma questo “È matto!!!”, che mi aveva lasciato stupito, ho alla fine pensato che probabilmente era stata una semplice boutade, priva di intenti polemici.

All’epoca, Verdi aveva già percorso, fin dall’anno della revisione della Traviata (1854), la vicenda creativa che lo aveva portato a una strumentazione sempre più raffinata, a una pregnanza espressiva dell’orchestrazione, oltre che a ritorni tematici, e a una graduale attenuazione della preminenza delle forme chiuse; in altri termini, si era avvicinato al Musikdrama[13] Del resto, i concetti di “Gesamtkunstwerk” e di “Musikdrama” erano ben presenti in casa Verdi. Lo prova la lettera scritta nell’ottobre del ’69, da Giuseppina Strepponi all’amico di famiglia, Cesare De Sanctis, musicista e musicologo, nella quale lettera si legge:  “Una voce magnifica, un artista sublime, non bastano per far comprendere in tutte le sue parti l’opera-poema de’ tempi nostri. Ci vuole un complesso: il canto, il suono, la musica, il vestiario, lo scenario, tutto concorre a formare questo complesso”.[14]  Giuseppina evidenziò in tal modo il significato del primo dei termini di cui sopra (“Gesamtkunstwerk”, ossia “opera d’arte globale”).

E che dire della lettera indirizzata due mesi prima da Verdi all’amico Antonio Gallo (editore e impresario veneziano), nella quale scrisse, fra l’altro “… l’Opera, intendi bene. Opera, ossia Dramma scenico musicale…”![15] Intanto, come dicevo, le espressioni di Verdi nei riguardi di Wagner e della sua musica si facevano sempre più favorevoli. Cito la lettera del luglio ‘71, cioè  di quattro mesi prima dell’ “episodio Lohengrin“, nella quale egli tesse a Giulio Ricordi le lodi per l’idea di Wagner di nascondere l’orchestra agli occhi del pubblico.[16]  E cito soprattutto la conversazione del febbraio 1899, di Verdi ottantaseienne, con Felix Philippi, giornalista del più importante quotidiano berlinese di allora, il “Berliner Tageblatt”, al quale giornalista così si espresse: “… cerco incessantemente di penetrare nel sublime mondo wagneriano. Gli sono debitore di innumerevoli ore di meravigliosa esaltazione. [….] L’opera che ha suscitato la mia più grande ammirazione è il Tristano. Di fronte a questa titanica costruzione resto sempre con immenso stupore. [ … ] Penso che il secondo atto sia una delle creazioni più sublimi dello spirito umano nel campo dell’invenzione musicale, in particolare per la tenerezza e la sensualità dell’espressione musicale e per la geniale strumentazione.”  [17]  Rilevo che Verdi già un anno prima, nel 1898, aveva posto termine alla sua produzione musicale, con i “Quattro pezzi sacri”.

Ma già sedici anni prima, nel febbraio dell’83, alla morte di Wagner, Verdi aveva indirizzato a Giulio Ricordi la famosa lettera: “Triste!, Triste!, Triste! Wagner è morto!!! Leggendone jeri il dispaccio, ne fui, sto per dire, atterrito! Non discutiamo. È una grande individualità che sparisce! Un nome che lascia un’impronta potentissima nella storia dell’Arte!!!”.[18] La cito, questa lettera, per lasciarne il commento a un grande scrittore tedesco, estimatore di Wagner e profondo conoscitore di musica, Thomas Mann. In una lettera del 1942, trascrivendo a un’amica la traduzione in tedesco di quelle frasi, affermò di considerare Verdi “una splendida figura, infinitamente più nobile del suo formidabile antagonista”. E continuava:  “… E questo, nonostante che egli avesse veramente sofferto sotto quel genio straniero, e sapesse che Wagner lo disprezzava”.[19] E concludo con le parole di Verdi in un’altra lettera all’Arrivabene (1876), parole che indicano la tendenza del Maestro a superare la concezione della musica come espressione di nazionalità e tradizione. Parole, le seguenti di Verdi, che a suo tempo, durante le polemiche tra wagnerianì e verdiani d’Italia, potevano parere utopistiche, ma che, lette oggi, acquistano un significato profetico. Eccole: “La melodia e l’armonia non devono essere che mezzi nella mano dell’artista per fare della musica. E se verrà un giorno in cui non si parlerà più né di melodia, né di armonia, né di scuole tedesche, italiane, né di passato, né di avvenire, ecc. ecc., allora forse comincerà il regno dell’Arte”.[20]

Ildebrando Ferrario

[1] Prawy, M.  Nun sei Bedankt… Mein Richard Wagner-Buch.  W.Goldmann, 1983  (pp. 69-202)

[2] Walker, F.  L’uomo Verdi.  Mursia, 1964  (p. 454)

[3] Walker, F.   op.cit.  (p. 463)

[4] Luzio, A.  Carteggi verdiani  Reale Accademia d’Italia, 1935  (pp. 217-220)

[5] Bauer, O.G.  Wagner und Verdi: Zwei nicht parallele Leben. Festspielbuch Bayreuth, 1999  (p.120)

[6] Walker, F.  op.cit.  (p.463)

[7] Jung Keiser, U.  Wagner in Italia. ( cit. da Isotta, P. in  Le ali di Wieland   (p. 160)

[8] Casini, C.  Verdi.  Rusconi, 1981  (p.319)

[9] Luzio, A.   op.cit. (p. 193)

[10] Witzenmann, W.   Caratteristiche della strumentazione nelle opere di Verdi e di Wagner. (cit. da Isotta, P., op.cit. (pp.164-165)

[11]  Bauer, O.G.  op.cit.  (p.118)

[12]  Rinaldi, M.  Verdi critico.  Ergo, 1951  (p. 328)

[13]  Mila, M.  L’Arte di Verdi.  Einaudi, 1980  (pp.71-80)

[14] Oberdorfer, A.  Giuseppe Verdi: Autobiografia dalle lettere.  Rizzoli-BUR Biografie, 1981  (p. 476).

[15] Oberdorfer, A.  op. cit.  (pp. 468-469)

[16] Oberdorfer, A.   op.cit.  (p. 474)

[17] Oberdorfer, A.  op.cit.  (p. 436)

[18] Oberdorfer, A.  op.cit.  (pp. 439-440)

[19]  Vaget, H.R.  Im Schatten Wagners. Thomas Mann über Richard Wagner.  Fischer Taschenbuch, 2005  (p. 191)

[20] Cesari, G., Luzio, A.  I copialettere di Giuseppe Verdi.  Commissione Esecutiva per le onoranze a Giuseppe Verdi nel centenario della nascita, 1913, IV: Copia anastatica, ed. Forni, A. 1987  (pp. 622-623)